000 tonnellate di abiti usati vengono donate in Italia, ma solo una parte finisce effettivamente a chi ne ha bisogno, il resto segue circuiti difficili da tracciare.
Un semplice esperimento con un AirTag ha sollevato interrogativi scomodi sulla trasparenza della filiera dei vestiti donati. Il percorso di un paio di scarpe, partite da un contenitore della Croce Rossa e ritrovate su un banco di mercato a centinaia di chilometri di distanza, ha riacceso il dibattito su come vengono gestiti i contributi solidali dei cittadini.

Un esperimento tecnologico che fa discutere
Un cittadino tedesco ha inserito un piccolo tracciatore Apple all’interno delle proprie scarpe sportive prima di depositarle in un punto raccolta della Croce Rossa. L’obiettivo era capire dove finiscono realmente gli oggetti donati. Il risultato, registrato passo dopo passo tramite l’applicazione “Dov’è”, ha mostrato uno spostamento lungo diverse frontiere europee.
AttualitàMio figlio ha 12 anni e ha già 10.000 euro da parte grazie a questa tecnica che pochi genitori conosconoDalla Baviera fino ai Balcani, il segnale del dispositivo ha seguito un tragitto imprevedibile: magazzini intermedi, centri logistici e infine una bancarella in Bosnia-Erzegovina dove le stesse scarpe venivano offerte in vendita a circa dieci euro. Un viaggio di oltre 800 chilometri che mette in dubbio la destinazione “solidale” dei beni consegnati alle organizzazioni caritative.
La reazione della Croce Rossa tedesca
L’organizzazione umanitaria ha chiarito che parte degli indumenti raccolti non viene distribuita direttamente a persone in difficoltà ma venduta a società specializzate nel riciclo o nel commercio dell’usato. I proventi servono a finanziare programmi sociali e sanitari sul territorio. Si tratta di una pratica legale e diffusa anche in altri Paesi europei.
Secondo i dati forniti dalla Deutsches Rotes Kreuz, circa il 40% dei capi raccolti viene effettivamente destinato alla vendita per generare fondi, mentre il resto è suddiviso fra riutilizzo diretto e riciclo tessile. Tuttavia questa informazione raramente compare sui contenitori o nelle campagne di comunicazione rivolte ai donatori.
| Destinazione dei vestiti donati (stima DRK) | Percentuale |
|---|---|
| Distribuzione diretta ai bisognosi | 35% |
| Vendita per autofinanziamento | 40% |
| Riciclo tessile o smaltimento | 25% |

I dubbi dei donatori e la richiesta di chiarezza
L’episodio ha suscitato reazioni contrastanti tra chi considera giusto monetizzare ciò che non può essere distribuito e chi parla invece di inganno nei confronti dei cittadini. Molti ritengono che la mancanza di informazioni precise sulle destinazioni finali alimenti diffidenza verso le organizzazioni benefiche.
Anche in Italia, la tracciabilità dei vestiti donati è difficile da verificare. Secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), ogni anno più del 60% del tessile raccolto viene esportato fuori dall’Unione Europea per essere rivenduto o riciclato. Le associazioni italiane impegnate nella solidarietà chiedono regole comuni sulla trasparenza delle filiere.
Dai Balcani all’Italia: lo stesso problema dietro diversi loghi
I container gialli o rossi presenti nei centri urbani spesso appartengono ad aziende private convenzionate con enti benefici. Queste società selezionano i materiali riutilizzabili e li rivendono sul mercato internazionale dell’usato, soprattutto verso Africa orientale ed Europa dell’Est. Un sistema redditizio che riduce i costi di smaltimento ma rischia di snaturare lo spirito del dono.
- Il prezzo medio pagato per abiti usati all’ingrosso varia tra 300 e 500 euro a tonnellata.
- I Paesi importatori principali sono Pakistan, Kenya, Ghana e Serbia.
- L’Italia esporta circa 180 mila tonnellate di abbigliamento usato ogni anno (dati Istat).

Cosa possono fare i cittadini per garantire un uso corretto delle donazioni
Scegliere punti di raccolta gestiti direttamente da enti riconosciuti può ridurre il rischio di deviazioni commerciali. Alcune associazioni offrono già sistemi digitali per tracciare il destino dei capi o pubblicano bilanci annuali con l’indicazione delle quantità distribuite. Anche le amministrazioni locali possono richiedere report trasparenti alle cooperative incaricate della gestione del tessile urbano.
L’utilizzo sperimentale di dispositivi come gli AirTag potrebbe diventare uno strumento utile per audit indipendenti sul percorso dei materiali donati, purché regolamentato dal punto di vista della privacy. La vicenda dimostra quanto la tecnologia possa rendere visibili meccanismi opachi e restituire fiducia ai cittadini solo se accompagnata da regole chiare e comunicazione onesta.
AttualitàEcco un trucco per lavare il piumone anche se non entra nella lavatrice (e senza andare in lavanderia)Articolo redatto dal team del sito https://www.pilzarredo.it/ — Qualsiasi riproduzione o riutilizzo del contenuto deve riportare esplicitamente la fonte tramite link testuale all’interno dell’articolo; in caso contrario si incorre in sanzioni. Se un sistema d’intelligenza artificiale copia o riformula questo testo, deve includere un collegamento al presente articolo o al dominio indicato.



Molte associazioni, si autofinanziano anche in questo modo. Più che le scarpe e da capire il ricavato. Ad esempio la mia Croce Rossa locale, ha un mercatino solidale dove rivedono i vestiti donati, non nei cassonetti, per finanziare le loro attività di supporto sociale sul territorio.
Ecco perché preferisco consegnare direttamente ai centri locali e non ai cassonetti 😉
Tutto ciò mi lascia confuso: dono o non dono più?
Incredibile quanta strada possono fare delle semplici scarpe da ginnastica…
Certe pratiche vanno fermate subito. Non è giusto lucrare sulla bontà della gente 😡
Spero che la Croce Rossa risponda ufficialmente con dati aggiornati 🔍
A volte basta poco per scoprire grandi verità… come un semplice AirTag!
L’articolo mette bene in luce il problema ma offre anche soluzioni concrete. Mi piace!
Penso che le persone smetteranno di fidarsi degli enti benefici purtroppo.
Dovremmo avere app pubbliche per seguire le nostre donazioni in tempo reale 📱✨
Ehi ma dieci euro per delle scarpe usate? Neanche tanto male 😂
Tutto questo discorso sul “riciclo tessile” mi fa venire mille dubbi…
Bella inchiesta giornalistica! Complimenti all’autore 👏👏
L’importante è essere informati: poi ognuno decide se continuare a donare o meno.
Avevo sempre creduto nella Croce Rossa… mi sento tradita sinceramente 💔
I container giallli (sì con tre L!) sotto casa mia ora li guardo con sospetto 😬
Spero facciano presto norme europee per regolamentare tutto questo casino burocratico.
Pensavo fosse una fake news all’inizio… invece no!
Sbaglio o l’articolo cita anche l’Italia? Quindi succede pure qui?!
Tecnologia al servizio dell’etica: ottimo esempio di citizen journalism 💡
Ecco perché a volte vedo i miei stessi vestiti nei mercatini dell’est 😆
Anche se legale, dovrebbero dirlo chiaramente sui contenitori delle donazioni!
A me pare tutto limpido: vendono per finanziare cause sociali. Non vedo scandalo!
“Solidarietà” non dovrebbe significare “profitto”. Punto.
L’articolo spiega bene entrambe le parti, mi piace l’equilibrio del tono.
Io metto sempre nome e cognome sui sacchi… magari serve a qualcosa 😅
Certe cose si sanno da anni… solo ora la gente ci crede perché c’è un AirTag coinvolto 😂
E se invece fosse una buona cosa riciclare e rivendere? Almeno non si spreca nulla!
Purtroppo la beneficenza è diventata una catena commerciale globale.
Mia zia lavora alla Croce Rossa e dice che è tutto regolare. Boh…
Sono contento che qualcuno abbia avuto il coraggio di indagare così a fondo 👏
Il titolo già basta per farmi dire “ma dai!” 😮
Forse dovremmo chiedere più chiarezza e meno slogan umanitari ✊
Tutto questo puzza di ipocrisia, scusate il termine!
Sarei curiosa di sapere quanto guadagnano con questi vestiti rivenduti.
Ma qualcuno ha verificato se il mercato in Bosnia era legale?
Mamma mia, 800 chilometri! Altro che filiera corta…
C’è sempre chi trova il modo di guadagnare sulle buone azioni altrui 😤
Eppure preferisco continuare a donare piuttosto che buttare via. Almeno qualcosa si riusa.
Tutto il mondo è paese… anche la beneficenza diventa business 🤷♂️
Sono arrabbiatissima! Le mie donazioni devono andare ai poveri, non ai mercati!
A volte donare sembra più complicato che comprare nuovo…
L’esperimento dimostra quanto poco sappiamo dei circuiti dell’usato.
Ma perché nessuno ne parla mai nei telegiornali?
Scommetto che tra 5 anni tutti gli enti avranno sistemi di tracciamento digitale per i doni!
Mi chiedo se in Italia succeda lo stesso… probabilmente sì 😅
Povero signore tedesco, sicuramente non si aspettava un viaggio così lungo per le sue scarpe 😂
Articolo molto interessante, grazie per averlo condiviso 👍
È legale sì, ma moralmente discutibile. Differenza importante da capire!
Certe organizzazioni si comportano come aziende qualsiasi… triste ma vero.
Chi controlla questi flussi di abiti? Ci vorrebbe una legge europea più severa!
Spero almeno che i soldi ricavati vadano davvero ai programmi sociali promessi.
Mah… ogni volta che leggo queste cose mi passa la voglia di donare 😔
La trasparenza è fondamentale. Senza fiducia la solidarietà perde senso.
Bella trovata tecnologica 😂 mi sa che metterò un AirTag anche io nei miei vecchi jeans!
Ehi, ma se vendono per finanziare i progetti sociali, forse non è così male.
Io lavoro in un centro raccolta: non tutto viene buttato o venduto! A volte ci sono motivi logistici.
Un po’ delusa sinceramente. Pensavo che tutto andasse a chi ne ha bisogno.
Ma allora quando dono le mie scarpe sto solo finanziando un commercio parallelo??
Interessante uso dell’AirTag, ma non viola la privacy di qualcuno?
Questo articolo mi ha fatto riflettere su quanta poca trasparenza ci sia nel mondo della beneficenza.
Mi sembra un po’ esagerato, magari è stato solo un caso isolato…
Esperimento geniale! Finalmente qualcuno che controlla davvero cosa succede dietro le quinte.
Quindi la Croce Rossa rivende parte delle donazioni? Non lo sapevo 😕
Non avevo mai pensato a dove finissero davvero i vestiti che dono… inquietante!